Sono trascorsi secoli, ma l’uomo del Duemila continua ad affidarsi a questo meccanismo difensivo istintuale quando i suoi occhi e il suo cervello registrano la presenza di un rettile: secondo quanto afferma Lynne Isbell della University of California di Davis, uno degli autori dello studio, i serpenti sono stati i predatori più pericolosi dei primi mammiferi, tanto da caratterizzare l’evoluzione dei primati sino ad oggi. Il nostro complesso sistema visivo, dagli occhi sporgenti ai centri di elaborazione degli input luminosi del cervello, si sarebbe evoluto in questo modo anche per captare qualsiasi minaccia nell’ambiente circostante, serpenti e rettili in testa, e questi meccanismi difensivi connotano tanto gli uomini quanto in maniera diversa altre specie di mammiferi, che ad esempio hanno sviluppato sistemi di resistenza al veleno.
A sostegno della sua tesi, la scienziata porta l’esempio di quelle specie animali che, non vivendo a con i rettili nel corso dei secoli, hanno sviluppato sistemi visivi meno complessi di quelli dei primati e non in grado di evitare la minaccia, come ad esempio i lemuri del Madagascar. Recentemente, per trovare risposte concrete alla loro teoria, gli studiosi hanno voluto misurare con degli elettrodi le attivazioni di una particolare regione del cervello situato nel talamo, monitorando alcuni macachi che non avevano mai visto un serpente: di fronte alle varie immagini presentate, ineuroni del pulvinar, questo il nome della regione cerebrale, si attivavano con maggiore frequenza e rapidità quando i loro occhi ‘riconoscevano’ nel serpente un pericolo, identificandone appunto la forma. Certo, concludono gli esperti, anche l’apprendimento e la memoria giocano un ruolo determinante, ma la teoria del ‘rilevamento del serpente’ come segno di un’evoluzione primordiale dei primati ha oggi una prova in più a suo favore.
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